ROMA, 20 SETT 2025 – «Da anni il Governo promette aperture e cambiamenti, ma, per gli infermieri e per tutte le professioni sanitarie dell’area non medica siamo di fronte ad un vincolo che non ha più alcuna ragione di esistere.
Il nostro riferimento è chiaro come la luce del sole. Siamo di fronte ad uno dei capisaldi delle nostre battaglie. In vista della prossima Manovra si torna a parlare di libera professione, citando addirittura il termine intramoenia per gli infermieri: ebbene, non ci accontenteremo di ipotesi e di sogni che non si realizzeranno mai. Serve una riforma definitiva e strutturale». Lo afferma con tono perentorio Marco Ceccarelli, segretario nazionale del COINA, sindacato delle professioni sanitarie.
Retribuzioni da fame
«Mentre i medici godono da tempo della possibilità di esercitare la libera professione, gli infermieri e gli altri professionisti restano esclusi da questo diritto, con stipendi che sono tra i più bassi d’Europa. È uno squilibrio intollerabile.
La libera professione non è un privilegio, ma un modo per integrare retribuzioni oggi del tutto insufficienti a fronte della responsabilità e dei carichi di lavoro quotidiani, ma soprattutto può mettere nella condizione un sistema sanitario in perenne affanno di poter contare su competenze ed esperienze da parte di chi già lavora nelle aziende sanitarie, tappando almeno in parte la carenza di personale di realtà che boccheggiano come le Rsa, ad esempio, o andando a coprire quegli incarichi nelle case e negli ospedali di comunità che spettano gli infermieri di famiglia, come indicato dalla Missione 6 del PNRR».
Sarebbe una scelta ponderata, rispetto a quella paradossale dell’assistente infermiere, dal momento che potremmo contare sulle forze che abbiamo in casa, che offrono garanzie di formazione, anni di lavoro sul campo e di conseguenza percorsi di cura di elevata qualità, soprattutto in termini assistenziali.
RSA e territorio al collasso
«Le residenze sanitarie assistenziali e la rete territoriale stanno affondando. Con l’invecchiamento della popolazione, i bisogni crescono ogni giorno, ma mancano le risorse e soprattutto il personale. Consentire agli infermieri e agli altri professionisti, già dipendenti della sanità pubblica, di operare anche fuori dagli ospedali, in libera professione, significa dare ossigeno immediato a un sistema che non regge più».
Puntare sulle forze che abbiamo “in casa”
«Le Regioni, lo sappiamo bene, faticano a reperire nuovi professionisti, persino tra gli infermieri di famiglia già formati per il rilancio della sanità territoriale. Invece di aspettare concorsi deserti (laddove le offerte continuano a essere poco dignitose), il Governo deve poter valorizzare chi è già dentro il SSN, consentendo loro di mettere a disposizione esperienza e competenze anche fuori dalle mura ospedaliere. Solo così si può dare una risposta rapida e concreta ai cittadini. Questo non vuol dire certo esimersi dal mettere in piedi un radicale piano di assunzioni e dal riavvicinare i giovani alle professione, ma sarebbe l’inizio di un percorso solido e lungimirante, fin qui solo ipotizzato».
Non solo promesse
«Chiediamo la fine di un’ingiustizia storica – conclude Ceccarelli –. Il vincolo di esclusività non tutela più nessuno, ma penalizza intere categorie. La libera professione per gli infermieri e tutte le professioni sanitarie non mediche è una condizione necessaria per garantire il futuro della sanità pubblica e la dignità del lavoro di chi la sostiene ogni giorno».