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CDO LECCO: IN NOME DELL’EMERGENZA NON SI TAGLI FUORI LA SOCIETA’

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In una nota inviata dalla Compagnia delle Opere di Lecco e Sondrio, a firma del presidente Marco Giorgioni, le riflessioni in merito alla gestione di questa emergenza e dei risvolti economici e sociali che ne derivano, anche alla luce della presa di posizione della Conferenza episcopale italiana.

La dura presa di posizione della Conferenza Episcopale Italiana, in risposta alla decisione del Governo di mantenere il divieto di celebrazione della Santa Messa in presenza di pubblico, pone una questione che non riguarda solo la libertà di culto.
In tutta Italia le persone hanno risposto con serietà allo stato di emergenza che di fatto ha sospeso diritti e libertà fondanti la nostra società ed espressi nella Costituzione. L’emergenza sanitaria è stata affrontata accettando di generare altre emergenze; è a tutti evidente che oggi abbiamo a che fare con un’emergenza economica, un’emergenza lavorativa, così come un’emergenza educativa.
Gran parte di questo straordinario impegno è stato, di fatto, scaricato sulle famiglie, al di là ovviamente, dell’eccezionale abnegazione degli operatori del mondo della sanità.
Oggi siamo ancora in una situazione precaria: la scienza, a cui ci si è totalmente affidati, è alla ricerca ma ancora non ha trovato una cura e un vaccino; con il Covid19 dovremo convivere così come conviviamo con altri rischi nella nostra vita quotidiana. “Convivere” vuol dire vivere rimettendo in gioco tutte le dimensioni della nostra convivenza civile. Certamente tutto dovrà essere riconsiderato, ma non si potrà solo negare e proibire: dovremo trovare il modo adeguato di lavorare, di spostarci, insomma, di riprendere totalmente le nostre relazioni sociali.
Sorprende che dopo tre mesi dall’inizio dell’emergenza, e dopo 50 giorni dal lockdown, non si siano condivise, con i vari soggetti e le varie realtà interessate, le modalità con cui riprendere la vita quotidiana. Nell’emergenza si accettano decisioni e limitazioni, anche errori: meno si può accettare che in tutto questo tempo non si sia arrivati a condividere le indicazioni con chi deve lavorare, chi deve insegnare, chi deve gestire i trasporti e via di seguito, fermi in una inconcepibile quanto sterile contrapposizione fra la salute e, di volta in volta, il lavoro o l’educazione, fino, come abbiamo visto, alla pratica religiosa.
Quando un imprenditore, un artigiano, un negoziante oppure un insegnante o una maestra chiedono di lavorare non stanno pensando ai loro interessi: stanno pensando al bene delle loro famiglie e delle persone che sono loro affidate e così facendo contribuiscono alla costruzione della nostra società e al bene di tutti.
La CEI ha posto non solo una questione di riconoscimento e rispetto, ha posto una questione di realismo.
Dietro alla responsabilità con cui gli italiani si son fatti carico delle gravi criticità di questi mesi ci sono uomini e donne impegnati, in particolare, nelle realtà del Terzo Settore.
Sono persone che operano spesso gratuitamente in campo sociale ed educativo, sono opere spesso nate da quella cultura e pratica della solidarietà che hanno nella formazione e nell’educazione alla fede cristiana la loro origine ed il loro fondamento. Sono realtà radicate nella società che partecipano concretamente alla costruzione del bene comune. Sono soggetti che trovano riconoscimento e dignità nel principio di sussidiarietà come insegna la dottrina sociale della Chiesa. Tutta gente in azione non per decreto ma che mette in gioco la propria libertà e responsabilità grazie ad una comunione vissuta.
Bloccati dalla paura del virus forse non siamo ancora veramente consapevoli che ci aspettano mesi di grande crisi sociale: ci sarà minor lavoro per le aziende, grandi o piccole che siano, interi settori di mercato non saranno in grado di operare, e tutto questo vorrà dire minor sviluppo economico e conseguente perdita di posti di lavoro. Lo Stato non avrà a disposizione risorse che non esistono per venire incontro alle situazioni di crisi e ancora una volta la società civile, le realtà del Terzo Settore, sarà chiamata a farsene carico.
I nostri governanti se non credono nella sussidiarietà per il modello e per il valore sociale che esprime, almeno la rispettino e la sostengano per necessità, per realismo. Continuare ad ignorarla sarebbe irresponsabile.
Marco Giorgioni

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