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ELENA GRANATA A LECCO: “LA CITTA’ NON E’ UN ALBERGO”

ELENA GRANATA A LECCO: “LA CITTA’ NON E’ UN ALBERGO”

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LECCO 15 novembre 2025 – Un invito chiaro e appassionato a ‘ritrovare’ la creatività e l’immaginazione nell’esercitare la professione di architetto, “il lavoro più bello del mondo, pur in un paese difficile come l’Italia”. E’ stata una mattinata di grande interesse quella promossa dall’Ordine degli Architetti di Lecco venerdì mattina, 14 novembre, con ospite la professoressa Elena Granata, urbanista, docente al Politecnico di Milano, vicepresidente della scuola di Economia Civile di Firenze, autrice di diverse pubblicazioni, una delle voci più autorevoli nel
dibattito contemporaneo sui temi dell’ambiente, della bellezza e della comunità, tra le sue opere ricordiamo Biodivercity (Giunti), Placemaker (Einaudi), Ecolove (Edizioni Ambiente), Il senso delle donne per la città (Einaudi) e Anima Mediterranea (Sossella). Durante la sua conferenza, intitolata provocatoriamente “Questa città non è un albergo”, la professoressa Granata ha invitato a riscoprire una sensibilità diffusa verso i diritti urbani – alla casa, alla
natura, alla salute – ma anche alle relazioni di vicinato e servizi capaci di rispondere ai bisogni più autentici dell’essere umano. “Uno dei privilegi degli architetti è proprio quello di poter trasformare le nostre società: laddove gli altri vedono un problema, il nostro compito è quello di trovare una soluzione che risponda al meglio alle necessità che oggi sono evidentemente cambiate” ha detto la prof.ssa Granata, introducendo i tre capitoli della sua relazione: “La città a ore”, “La città delle scatole” e “La città di pietra”.
“La città a ore” parte dall’evidente trasformazione che le città, non solo quelle a vocazione turistica, stanno vivendo: “Le nostre città sono ‘a tempo’ e non più ‘progetto di vita’. E questo non è colpa degli immigrati, nella denatalità o della crisi del lavoro, ma dipende dalla trasformazione dell’identità della città stessa che sta andando verso una completa mercificazione. Più o meno dal Covid tutto ciò che c’è in città deve essere un atto di consumo,
lo vediamo bene con la questione abitativa: la casa non più intesa come il luogo della vita ma come possibilità di profitto. Anche l’abitare è diventato merce e lo stiamo vedendo in tutte le nostre città, non solo quelle a spiccata vocazione turistica. Solo Milano nell’ultimo anno ha perso 50 mila abitanti. Gli ‘espulsi’ vanno verso la periferia, Lecco è in parte il terminale dei desideri dei milanesi che a Milano non riescono a vivere per i costi della vita. Di qui
l’incremento della domanda di casa e, di conseguenza, di nuovi servizi, una questione che finisce per essere squisitamente politica. La città a ore ‘corrode’ la società, è un modello così pervasivo che snatura l’idea stessa di convivenza umana. In questo primo contesto, come architetti, dobbiamo collocare il nostro lavoro: quali sono i rimedi in un mondo in cui c’è più capitalismo che democrazia?”. Quindi il secondo capitolo, ‘La città delle scatole’:
“Dall’Ottocento abbiamo ereditato l’idea che ad ogni funzione corrisponda una tipologia di architettura, ma oggi non è più così. Oggi l’architetto deve progettare in maniera ibrida: una scuola non può più essere solo una scuola, un ospedale nemmeno. Le funzioni sono più di una, vanno reinventate: un architetto deve perciò essere in grado di reinventare gli spazi, tenendo presente che quei luoghi che progetta non sono solo luoghi ma contengono anche relazioni.
In una scuola lo spazio educa prima del maestro e in un ospedale cura prima del medico. Dobbiamo riappropriarci di una cultura architettonica andata persa: per questo vi invito a risvegliare quella parte creativa che vi ha portato a scegliere questo lavoro”. Infine, un accenno ai cambiamenti climatici che devono imporre un ripensamento nella pianificazione e progettazione urbanistica delle nostre città: città di pietra, che devono convertirsi in città di
spugna, secondo la felice definizione data dall’architetto cinese KongJan Yu: “Le città vanno riadattate perché diventino complici della natura – ha detto Granata – devono essere assorbenti, drenanti, umide, piantumate. La soluzione ai problemi causati dal cambiamento climatico non deve essere solo tecnica ma anche naturale e paesaggistica. Per fare un esempio pratico, in molte città olandesi sono stati creati dei paesaggi allagabili. Da noi quando esondano i fiumi si fanno le vasche di laminazione. Questi criteri scardinando la nostra visione
urbanistica ma rinnovano la pianificazione, in accordo con la natura”. Le riflessioni della professoressa Granata hanno generato un interessante dibattito tra i presenti, anche in relazione al particolare momento che il Comune di Lecco, in fase di revisione del Pgt (il Piano di Governo del Territorio) sta vivendo. Il presidente dell’Ordine degli Architetti Valentino Scaccabarozzi ha ringraziato l’urbanista ricordando l’importanza di “sollecitare il pensiero
associativo”. Tra il pubblico era presente anche l’assessore al Welfare del Comune di Lecco Emanuele Manzoni che ha commentato: “Ragionare sulla città del domani significa pensare in particolare a creare spazio pubblico dove le persone possano vivere esperienze insieme. La frammentazione sociale che viviamo si supera anche grazie alla qualità dei luoghi che sapremo e potremo creare, così come la sfida dell’abitare non parla solo alle persone che hanno
bisogno ma al funzionamento di una città nel suo insieme: se mancano infermieri, autisti, insegnanti non funziona la comunità per tutti”. L’assessore ha concluso: “Non sono temi che riguardano solo il comune o solo un’associazione di categoria o solo gli architetti ma necessitano di uno sguardo comune dove ognuno può pensare, per il pezzo di competenza, all’interesse generale dentro la quale si gratifica anche il particolare”.

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